È
ormai passato più di un anno da quando siamo entrati in questo tunnel chiamato
“Covid”. La vita di ognuno di noi è stata stravolta sotto tutti gli aspetti:
lavoro, amicizie, abitudini. Ognuno ha reagito come ha potuto. Io, lo confesso,
mi sono aggrappato alle letture di libri e articoli per cercare di dare un
senso a questo incubo e per provare a capire ciò che stava succedendo.
Ho
affrontato filosofi come Agamben e Onfray, medici come Tarro, scrittori come
Orwell, giornalisti come Martino Cervo (che mi ha fornito la maggioranza degli
spunti per questo post) e, tramite loro, ho steso questi appunti che non hanno
alcuna pretesa di originalità, ma che vogliono essere un semplice contributo
per chiarirci le idee e fare il punto della situazione.
Innanzitutto
credo che mai - almeno nella storia recente - si era visto un apparato di
disposizioni così invasivo e confuso, violento e inefficiente insieme.
Il
controllo dei comportamenti, la compressione dei diritti, i confini
invalicabili saltati di slancio (il limite del corpo, i trattamenti sanitari,
l’umana libertà, e quelle di movimento, e d’impresa) sotto ricatti continui
spacciati con la sicumera della scienza che, tra l’altro, di scientifico non ha
proprio nulla ma è qualcosa che si avvicina a un dogma scientista che non
ammette dubbi.
E
tutto senza che, per il momento, a tante militareggianti disposizioni
corrisponda purtroppo un esito risolutivo nella guerra combattuta a tentoni
contro il Covid.
Mese
dopo mese, più la ferocia di certo dibattito incasella obiezioni, dubbi,
domande, in sfere semantiche d’impresentabilità ideologica e politica, più
sacche di resistenza si gonfiano.
Più chi chiede trasparenza sugli esiti dei
vaccini viene esposto alla gogna “No Vax”, più crescono i dubbi sulla bontà dei
medicinali immunizzanti.
Più l’Unione Europea fatica nel compito di
approvvigionare gli Stati con le fiale, più ribadisce la sua necessaria potestà
cui prostrarsi con una convinzione che viene giudicata sempre troppo debole.
A
chi riflette sulla difendibilità pratica dei lockdown vengono rinfacciate le
bare di Bergamo, e così tutto salta, tutto esplode in una curva dove c’è posto
solo per tifoserie allucinate: il paradiso del potere, lesto a identificarsi in
ciò che è “moderato” tra due estremi che non esistono.
E
mai il potere stesso si era reso così necessario, apparentemente neutrale,
trasparente - cioè non visibile - anche al netto dei suoi passeggeri e
incespicanti interpreti.
Mai
tra tecnica e politica l’attrito e l’abbraccio si erano fatti così arroventati.
Un
tarlo sembra essersi annidato nei meccanismi delle nostre democrazie; la
pandemia sembra aver catalizzato tratti riconoscibili sviluppatisi da tempo
nelle nostre società.
Michel
Onfray, non cedendo al fascino dell’inevitabilità dell’idea liberale, ha da
poco rintracciato in 1984 di Orwell una “Teoria della dittatura” in
sette punti, identificati - nota bene - prima della pandemia:
- distruggere la libertà (“La parola, la presenza, l’espressione, il pensiero, le
idee e gli spostamenti sono completamente tracciati e tracciabili. Le
informazioni recuperate potranno essere tutte usate per istruire le pratiche
destinate al tribunale del pensiero”); impoverire la lingua
- abolire la verità
(“Si stabilisce come nuova e insormontabile
verità il fatto che non esistono più verità ma solo prospettive. E guai a chi
rifiuta la nuova verità sull’inesistenza della verità!”)
- sopprimere la storia
- negare la natura
- propagare l’odio (“Nell’ambito della cultura postmoderna,
l’odio viene riservato a chi non si inginocchia davanti alle verità rivelate
della religione che si autoproclama progressista)
- aspirare all’Impero
Ci
troviamo proiettati in orizzonti non solo “tecnicamente” totalitari e al centro
di un flagello che sembra accelerare l’insostenibilità dell’antropologia
contemporanea: decenni di decostruzione relativista di tutto portano alla
verità di una scienza di cui non è lecito dubitare, agli ordini tassativi di un
superstato terapeutico che può smentirsi su tutto senza perdere il piglio di
chi è “sempre stato in guerra con l’Eurasia”.
In
tutto questo, hanno un ruolo predominante i media mainstream che,
quotidianamente, rivolgono i loro strali contro i “nuovi fascismi”, cioè
l’etichetta da appiccicare (assieme a “chi non crede nella scienza”) a
qualsiasi formula di dissenso rispetto al pensiero omologato e omologante.
Un
megafono continuo contro il nemico di turno dell’ordine costituito: la “pancia”
del Paese, i cosiddetti populismi, eccetera.
Una
nuova lezione di libertà sembra tanto più necessaria oggi, in una temperie in
cui un vero discorso contro il potere sembra strutturalmente impossibile.
Potere
non tanto nel senso di un dominio partitico, o legislativo, ma della tentazione
sempre presente a ogni livello di prevaricare sull’uomo, sulle sue aspirazioni,
i suoi desideri, la sua insopprimibile esigenza di verità, giustizia, bellezza.
Questo
potere agisce nelle famiglie, nelle società e, certo, nei partiti, nelle
istituzioni sovranazionali, nei grandi centri finanziari, ma ha sempre
un’origine possibile nel cuore di ciascuno.
Proprio
le questioni a proposito delle quali, sui giornali, si sente dire che “non ci
si dovrebbe dividere”, sono quelle in cui il potere sogna l’unanimità di chi ha
deciso per noi. Anzi, di chi in fondo non ha scelta, perché si concepisce
falsamente neutro e inevitabile.
Avremmo
bisogno di corazzarci contro un racconto che cerca nasi da soggiogare con
anelli sempre più osceni. Dovremmo scardinare la cappa di menzogne
universalmente diffuse e pervasive, ormai assurte a cornice delle cronache del
presente.
Come
ottimamente scrive Cervo: “Dagli ormai insopportabili paragoni a sfondo
sanitario di ogni discorso politico (il “vaccino contro l’intolleranza”, le
“vere infezioni da curare”, gli “anticorpi” contro questo e quello), alla
mostrificazione di ogni dissenso (“no mask”, “no vax”, “negazionisti” sono armi
da agitare per tacitare il dibattito, non già per indirizzarlo in canoni
maturi); alle aporie impressionanti digerite da quasi tutti i media (le proteste
di piazza sono gesti democratici da plaudire in Russia, Ungheria e Usa purché
pro Biden, irresponsabili focolai in Italia, Francia e Usa se pro Trump); fino
alla discesa dei contagi evidente merito dei provvedimenti restrittivi, mentre
l’aumento delle infezioni prova l’irresponsabilità dei cittadini, e dunque
determina provvedimenti ancor più restrittivi.
Oggi, un discorso sul potere non
pare possibile senza una solida pars destruens. A noi, cercare i picconi
più adatti e affilati a disposizione”.