Nel Tribune della settimana scorsa c’era una interessante lettera del signor J. Stewart Cook, in cui suggeriva che il miglior modo per evitare il pericolo di una “gerarchia scientifica” sarebbe di fare in modo che tutte le persone comuni avessero per quanto possibile una formazione scientifica. Allo stesso tempo gli scienziati dovrebbero essere tirati fuori dal loro isolamento e incoraggiati ad avere un ruolo maggiore nella politica e nell’amministrazione.
Pertanto,
l’educazione degli adulti tende a “trascurare gli studi scientifici a favore di
materie letterarie, economiche e sociali” e apparentemente l’economia e la
sociologia non sono considerate branche della scienza. Questo è un punto della
massima importanza.
Infatti
la parola scienza oggi è usata secondo almeno due significati, e l’intera
questione dell’educazione scientifica è oscurata dalla tendenza attuale di
scivolare da un significato all’altro.
Con
scienza generalmente si intendono (a) le scienze esatte, come la chimica, la
fisica, ecc., o (b) un metodo di pensiero che ottiene risultati verificabili
attraverso il ragionamento logico a partire da fatti osservati.
Se chiediamo a uno scienziato, o addirittura a quasi tutte le persone istruite, “Che cos’è la scienza?”, è probabile ottenere una risposta che si avvicina alla (b). Nella vita di tutti i giorni, tuttavia, sia nel parlato che nello scritto, quando le persone dicono “scienza” intendono la (a). Scienza significa qualcosa che accade in un laboratorio: la parola stessa richiama l’immagine di grafici, provette, bilance, becchi di Bunsen, microscopi.
Un biologo, un astronomo,
forse uno psicologo o un matematico, sono descritti come “uomini di scienza”:
nessuno penserebbe di applicare questo termine a uno statista, un poeta, un
giornalista o addirittura un filosofo. E chi dice che i giovani devono avere
una formazione scientifica quasi sempre intende che si dovrebbe insegnare loro
più radioattività, o delle stelle, o della fisiologia del loro corpo, e non che
si dovrebbe insegnare loro a pensare in modo più puntuale.
Questa confusione di significato, che in parte è intenzionale, contiene un grande pericolo. Nella richiesta di una maggiore istruzione scientifica è insita l’idea che una persona che ha ricevuto una formazione scientifica avrà un approccio più intelligente a tutte le materie rispetto a chi non l’ha avuta. Le opinioni politiche di uno scienziato, si presume, le sue opinioni su questioni sociologiche, sulla morale, sulla filosofia, forse anche sulle arti, avranno più valore di quelle di quelle di un non addetto ai lavori. Il mondo, in altre parole, sarebbe un posto migliore se gli scienziati fossero al comando.
Uno
“scienziato”, però, come abbiamo appena visto, in pratica è uno specialista in
una delle scienze esatte. Ne consegue che un chimico o un fisico in quanto tali
sono politicamente più intelligenti di un poeta o di un avvocato. E, infatti,
ci sono già milioni di persone che la pensano così.
Ma
è proprio vero che uno “scienziato”, in questo senso più ristretto, è più
propenso di altre persone ad affrontare i problemi non scientifici in modo
obiettivo? Non ci sono molte ragioni per pensarlo.
D’altra
parte, cos’è successo alla letteratura tedesca quando i nazisti sono saliti al
potere? Credo che non siano stati pubblicati elenchi esaustivi, ma immagino che
il numero di scienziati tedeschi - ebrei a parte - che hanno volontariamente
scelto l’esilio o sono stati perseguitati dal regime fosse molto inferiore al
numero degli scrittori e dei giornalisti. Più inquietante ancora, un certo
numero di scienziati tedeschi ha mandato giù la mostruosità della “scienza
razziale”. Alcune delle affermazioni che hanno firmato si trovano in Spirito e
struttura del fascismo tedesco del professor Brady.
Tuttavia, in forme leggermente diverse, ovunque la situazione è la stessa. In Inghilterra gran parte dei nostri scienziati di spicco accetta la struttura della società capitalista, come si può vedere dalla relativa libertà con cui ricevono il titolo di cavalieri, baronetti e persino nobili. Dopo Tennyson, a nessuno scrittore inglese degno di essere letto - si potrebbe, forse, fare un’eccezione per Sir Max Beerbohm - è stato assegnato un titolo.
E quegli scienziati inglesi
che non accettano semplicemente lo status quo sono spesso comunisti: ciò
significa che, per quanto intellettualmente scrupolosi possano essere nel loro
ramo, sono pronti ad essere acritici e persino disonesti su determinati
argomenti. Il fatto è che una semplice formazione in una o più delle scienze
esatte, anche combinata con grandi talenti, non garantisce una visione umana o
scettica. I fisici di alcune grandi nazioni, che lavorano in modo febbrile e
segreto alla bomba atomica, ne sono una dimostrazione.
Tutto
questo significa che la gente comune non dovrebbe avere una maggiore educazione
scientifica? No, anzi! Significa che l’educazione scientifica delle masse farà
poco bene, e probabilmente tanto danno, se si riduce semplicemente a più
fisica, più chimica, più biologia, ecc., a scapito della letteratura e della
storia. L’effetto sull’uomo medio sarà probabilmente quello di restringere la
gamma dei suoi pensieri e renderlo più che mai sprezzante di una conoscenza che non possedeva: e le sue
reazioni politiche saranno probabilmente un po’ meno intelligenti di quelle di
un contadino analfabeta che ha conservato alcune memorie storiche e un senso estetico
abbastanza sano.
Chiaramente
l’educazione scientifica dovrebbe significare l’imposizione di una forma
mentale razionale, scettica, sperimentale. Dovrebbe significare acquisire un
metodo - un metodo che può essere utilizzato per qualsiasi problema che si
incontra - e non semplicemente accumulare tante nozioni. Mettiamolo in questi
termini e l’apologeta dell’educazione scientifica sarà generalmente d’accordo.
Ma se ci spingiamo oltre e gli chiediamo di essere più specifico, in qualche
modo viene sempre fuori che l’educazione scientifica più attenzione alle
scienze esatte, in altre parole: più fatti. L’idea che la scienza significhi un
modo di guardare il mondo, e non semplicemente un bagaglio di conoscenze, in
pratica è fortemente contrastata. Penso che in parte la ragione di questo sia
la pura invidia professionale.
Se
la scienza è soltanto un metodo o un atteggiamento, così che chiunque ha
processi di pensiero sufficientemente razionali può in qualche modo essere
descritto come uno scienziato, che ne sarà allora dell’enorme prestigio di cui
godono ora il chimico, il fisico, ecc. e della loro pretesa di essere in
qualche modo più saggi di tutti noi?
Un secolo fa Charles Kingsley descriveva la scienza come un “fare cattivi odori in un laboratorio”. Un anno o due fa, un giovane chimico industriale mi informava compiaciuto che “non riusciva a capire a cosa servisse la poesia”. Il pendolo dunque oscilla avanti e indietro, ma non mi sembra che un atteggiamento sia migliore dell’altro.
Al momento la scienza è a un livello superiore, e quindi
giustamente sentiamo l’affermazione che le masse dovrebbero avere un’istruzione
scientifica: non sentiamo quanto dovremmo la contro affermazione che anche gli
scienziati trarrebbero qualche beneficio da un po’ di educazione. Poco prima di
scrivere queste righe, ho letto su una rivista americana l’affermazione che un
certo numero di fisici britannici e americani si sono rifiutati dall’inizio di
fare ricerche sulla bomba atomica, sapendo bene che uso ne sarebbe stato fatto.
Ecco
un gruppo di uomini sani di mente in mezzo a un mondo di pazzi. E anche se non
sono stati pubblicati i nomi, penso che sarebbe ragionevole supporre che tutti
loro fossero persone con un qualche tipo di background culturale generale,
qualche conoscenza di storia, letteratura o arte - in breve, persone i cui
interessi non erano, nel senso attuale della parola, puramente scientifici.